C’era coda, quel giorno, al banco degli NFT: tutti in fila con il numerino e il tizio che ci chiedeva a turno “lascio?”. Ma facciamo un passo indietro.

 

Il mercato dei Non Fungible Token, a prima vista, è il paese delle meraviglie: beni digitali realizzabili con poco e vendibili a tantissimo, unici e non riproducibili, di cui hai la proprietà assoluta, certificata su un registro virtuale immodificabile, permanente e condiviso? Semplicemente, il massimo.

 

Ho dato fondo al mio archivio di GIF, Jpeg, PNG, pdf, Mp3, Mp4 e ho poi creato il mio portafoglio digitale di criptovalute per acquistarne a mia volta.

 

Quand’ecco, proprio nel momento in cui tutto stava per partire, la crisi.

 

Passavano i giorni, le settimane: pochi compravano, pochi acquistavano e, soprattutto, io non guadagnavo.

 

La prima reazione è stata quella tipica di un soggetto bipolare: nessun risultato in breve tempo= nessun risultato (sicuramente) nemmeno a lungo termine. Ergo, nella mia testolina limitata: l’universo NFT è un flop colossale. Per cui, vai di crisi isterica.

Una volta superata, ho indagato e ragionato sulla faccenda, finché una piccola idea me la sono fatta (sempre nella mia testolina limitata): non si tratta solo del valore relativo di ciò che c’è sul mercato, ma anche delle infinite variabili cui questo mondo “infallibile” è sottoposto.

 

Intanto, l’interesse della gente varia a seconda del momento e finora l’offerta del mercato ha sempre superato l’effettiva domanda del pubblico, per cui troppi NFT vengono acquistati da troppo pochi utenti.

 

L’effettiva qualità e l’esatto valore economico di un NFT, poi, non sono facilmente verificabili al di là delle oscillazioni e delle speculazioni del mercato: dipendono da quando e come li si è creati, a quanto li si è venduti o acquistati, e dalla conseguente stabilità delle varie cripto.

 

Il valore di unicità, infine, è in assoluto il più suscettibile, per cui non sappiamo mai, di volta in volta, se un NFT è stato già venduto ad altri o se in futuro verrà ceduto ad altri ancora, perdendo di valore. L’unico fattore dirimente, alla fine, è ancora la vecchia fiducia venditore-acquirente.  

 

Ma non è finita qui. Torniamo all’inizio, a me che stavo in coda.

 

Yuga Labs si apprestava a vendere i primi NFT legati al suo nuovo videogame, Otherside: non mi è servito sapere altro. E a un tratto, finalmente, il mio turno al banco: “Che faccio, lascio?” “Lasci, lasci” “Quanti?” “A volontà!”.

 

Tutto ok? Non proprio: nei giorni successivi abbiamo scoperto che non solo il traffico delle transazioni legato a Otherside era alle stelle, ed era un bene, ma lo era anche l’ammontare della commissione che ad ogni passaggio di proprietà è destinata ai gestori della sua blockchain, Ethereum.

E questo era meno bene, perché ha finito per pesare molto sulla spesa complessiva sostenuta da ciascuno di noi. In alcuni casi la commissione equivaleva a quasi dieci volte il prezzo di acquisto di un singolo NFT: paradossale.

 

Abbiamo quindi a che fare con un mercato sicuramente promettente e affascinante, che però sta attraversando un periodo di fisiologico assestamento e che per questo presenta numerose incognite.

 

Occhio, quindi, intrepidi esploratori, non fate come me la prima volta, ma come intendo fare adesso: procuratevi una bella mappa.