In genere finché un social estremamente popolare, soprattutto tra i millennials, resta o viene considerato un “giochino”, suscita una certa diffidenza da parte di (certe) aziende e governi, soggetti boomer per eccellenza, i quali non ci vedono altre utilità pratiche e sociali al di fuori del semplice svago.
Quando però scoprono di poterne piegare le potenzialità ludiche a fini commerciali o sociopolitici per generare conversioni, lead e consenso, diventano meno diffidenti. E si scordano dei propri precedenti timori.
A quel punto aumentano invece quelli di esperti, addetti ai lavori ed esponenti del mondo dell’informazione: timori di abuso, di scarsa trasparenza, di utilizzo per obbiettivi poco chiari o puliti. E (solo allora?) aziende e governi, a loro volta, per calcolo o ravvedimento, ritornano sui propri passi.
Come nel caso di TikTok, di proprietà della società cinese ByteDance e in questo momento considerato il Social per eccellenza: secondo fonti autorevoli quali Forbes, New York Times e BuzzFeed News avrebbe illecitamente messo sotto sorveglianza diversi giornalisti americani e in generale violerebbe, in Europa, la privacy dei cittadini.
Queste violazioni, se provate, non solo comporterebbero pesanti sanzioni da parte degli organi di controllo preposti, ma rischierebbero di compromettere i rapporti, diplomatici e non solo, tra Occidente e Oriente, già tesi per via di questioni come la disputa sino-americana su Taiwan.
A scopo cautelativo, il mese scorso la Commissione Europea ha ordinato al proprio personale di cancellare l’app da tutti i dispositivi usati per lavoro e lo stesso hanno fatto, a seguire, gli USA con gli impiegati delle agenzie federali, il Canada e molti paesi europei.
Qualunque sarà l’esito delle indagini, secondo molti analisti il passato della Cina non depone a suo favore. Infatti:
· Avrebbe alle spalle numerosi precedenti di interferenze pesanti in quelle attività di TikTok che considera maggiormente strategiche e in generale nella libertà di espressione sui social;
· Obbliga per legge tutte le aziende sul suo territorio a fornire all’intelligence i dati dei loro dipendenti per contribuire alla sicurezza nazionale, ed è forte il sospetto che anche quando queste operano all’estero vengano spinte ad aggirare le legislazioni locali sulla privacy, non solo per soddisfare obiettivi di mercato, ma anche di spionaggio e propaganda occulta per conto di Pechino.
I meno allarmisti sostengono invece che le accuse derivino principalmente da:
· La concorrenza economica tra TikTok e le altre Big Tech (di cui abbiamo in parte già trattato qui e qui);
· Da pruriti moralisti (Macron ha definito il social “ingannevolmente innocente e fonte di vera dipendenza”);
· Dalla visione della Cina come paese autoritario e poco tollerante delle libertà individuali, considerata legittima ma tipicamente occidentale e non sempre supportata da fatti;
· Dalla “coda di paglia” di governi e aziende che stavano finendo per comportarsi come la Cina, ma in particolare dal “rimorso” targato USA di aver lasciato attecchire, con risultati forse anche migliori che in patria, il proprio modello di sviluppo economico inAsia.
TikTok in persona ha risposto varando nel 2020 insieme al Comitato per gli investimenti esteri degli Stati Uniti Project Texas, un piano da circa 1,5 miliardi di dollari volto a rafforzare la sicurezza dei dati degli utenti e dimostrare così la propria indipendenza dalla Cina.
Inoltre sarebbe intenzionata ad agire nello stesso modo in Europa tramite il Progetto Clover, che prevede tra l’altro l’istituzione di una società a parte, terza ed indipendente, che si occuperà della gestione dei flussi di dati e degli audit sui processi di controllo e protezione.
Insomma, che la Cina da sempre mantenga un profilo controverso è fuori discussione; ci si chiede, semmai, se TikTok in tutto questo sia vittima o carnefice (o quantomeno complice). Una preoccupazione, dunque, di natura più politica che tecnologica.
Per il momento, abbiamo cercato di farvi un quadro generale della situazione, ma prevedere o ipotizzare una soluzione soddisfacente a breve termine è quasi impossibile: ai posteri, anzi, ai post l’ardua sentenza.