“Sarà la nostra fineeee!”

 

Questo stanno pensando copywriter, insegnanti, sviluppatori, ricercatori, divulgatori, marketer a proposito dell’effetto sconvolgente che la nuova ChatGPT (o strumenti simili) potrebbe avere sulle loro esistenze.

 

Quello delle chatbot è un discorso, e un trend, che ha già qualche anno, ma a chi non ne sapesse molto basti sapere che si tratta di applicazioni software che sfruttano le AI per interagire verbalmente con gli esseri umani.

 

Utilizzate nei canali (messaggistica, telefonia mobile, assistenza, vocale, etc.) e nei settori più disparati (e-commerce, servizi finanziari, sanità, istruzione, assicurazioni, viaggi e turismo), si occupano principalmente della gestione della clientela e del supporto dipendenti, con grande risparmio di tempi e costi e conseguente aumento del ROI (Ritorno sugli Investimenti), dei lead, dei cicli di vendita, della fedeltà del cliente, affascinato da un’esperienza utente fortemente personalizzata, e dei tassi di conversione.

 

Oggi, però, siamo di fronte, sembra, alla Chatbot Definitiva: onnisciente, tuttofare, insostituibile.

 

ChatGPT, infatti, si presenta sostanzialmente come un oracolo del web che può essere consultato per qualsiasi richiesta di informazione, dubbio, ricerca, analisi, controllo, verifica e chi più ne ha più ne metta. In diversi video disponibili online, molti programmatori le hanno chiesto di codificare una sito web vero e proprio; la risposta è stata un codice molto basico, con un’impostazione abbastanza rudimentale, ma indubbiamente corretta e soprattutto prodotta in pochi secondi.

 

Inoltre, in virtù della sua presunta abilità nel riprodurre il linguaggio ma anche, in parte, la sensibilità umana, potrebbe potenzialmente svolgere moltissime di quelle professioni, creative e no, legate al digitale o meno, ruotanti intorno al mondo della parola scritta, parlata o trasmessa (composizione di canzoni, testi, articoli, libri, revisioni sintattiche e grammaticali, traduzioni, creazione di codici, realizzazione di video etc.).

 

Sarà davvero così? Al momento, in realtà, all’interno della community tech sembra prevalere un certo scetticismo a riguardo.

 

A parte il terremoto e i dilemmi etici che una massiccia irruzione di AI del genere innescherebbe nel mercato del lavoro, si tende a dimenticare che non tutti disporrebbero delle risorse necessarie ad avervi accesso, creando disparità di opportunità ed esacerbando le disuguaglianze già esistenti, senza peraltro portare a quella rivoluzione tecnologica tanto auspicata.

 

Ma i loro dubbi maggiori riguardano le stesse strategie e algoritmi di“addestramento” di ChatGPT, il fatto, cioè, che la sua memoria e le sue capacità nascano, si alimentino e si affinino tramite l’immagazzinamento di informazioni provenienti da fonti testuali, audio, video, input verbali prodotti dall’UOMO.

 

Questi ultimi, in quanto tali, tenderebbero a riprodurre, magari anche in maniera formalmente ineccepibile, pregiudizi, ambiguità, perfino falsità, per l’appunto, UMANI che una AI, anche di livello avanzato come ChatGPT, non è ancora in grado di riconoscere, evitare o rettificare, limitandosi semplicemente a riprodurli all’infinito, generando fraintendimenti continui e prestandosi con facilità ad azioni di disinformazione o di cracking.

 

Per farla breve: ChatGPT, così come gli altri modelli di chatbot finora rilasciati, attualmente “ci assomiglierebbe troppo” e, di conseguenza potrebbe evolvere o regredire solo se nello stesso tempo lo facessimo anche noi.

 

Il futuro, dunque, è suo? Difficile dirlo.

Per ora, può costituire uno strumento utile per ridurre i tempi di lavoro, magari per scremare informazioni o per ricerche rapide, ma non per produrre il lavoro stesso; e ciò non tanto per gli errori e le imprecisioni in cui incorrerebbe al pari di qualsiasi umano, ma per il semplice motivo che quest’ultimo riuscirebbe a ripercorrere i propri processi e metodi per risalire all’errore, mentre per una macchina sarebbe complicato.

 

Stiamo parlando, in conclusione, di strumenti da cui è utile farsi assistere, ma dai quali, per il momento, non c’è possibilità di essere sostituiti.