Articolo dal tono provocatorio, avviso, nato dalla lettura e dai successivi ragionamenti legati ad un post Linkedin di Fabio Bin (WeRoad, ZooCom, OneDay Group); post che, nella sua sincera semplicità, ho trovato illuminante perché ha dato ordine ad una serie di pensieri che mi porto nello zaino da anni e ai quali non sono mai riuscito a dare forma organica.

 

Il capro espiatorio è, in questo caso, il Growth Hacking, ma potremmo sostituirlo con i vari “inserisci qui una parola a caso” marketing (ripeto, sono provocatorio); la chiave del ragionamento è il concetto di reale applicabilità di certi sistemi, molto spesso nati e strettamente legati ad una case history precisa. La standardizzazione procedurale, che rende i modelli di startup americani a cui si rifanno molto spesso simili tra di loro, è una caratteristica rara nel nostro paese.

 

Giustamente, aggiungo, perché il substrato culturale e il tipo di imprenditorialità che abbiamo è tanto, tanto differente e questi metodi andrebbero talmente farciti di asterischi da risultare decisamente inadeguati.

 

Sintetizzando, due sono le impressioni: il fatto che questa tipologia di narrazione, cresciuta esponenzialmente negli ultimi due anni, sia nella miglior delle ipotesi una generalizzazione poco pensata di singole casistiche e, nella peggiore, carta carbone di una ridotta bibliografia. La seconda è che genera, stimola o promuove una certa pigrizia mentale, l’illusione di una scorciatoia verso l’Eden del successo aziendale, i pascoli verdi delle strategie di crescita.

 

Il titolo del post da cui nasce tutto è fantastico: “Il metodo Smarmella”. Lo so, è diventato abbastanza uno stereotipo come guardare “The Office”, ma se mi citi Boris in un articolo particolarmente illuminante, sarò perdutamente tuo.

Parafraso tutto: provare e riprovare, magari anche in modo abbastanza rudimentale, osservare e trarne delle conclusioni. Funziona? Non funziona? Cosa posso cambiare? Vale la pena continuare o meglio cambiare completamente rotta?

 

Concetti di base, non ricette.

 

Tutto risponde in modo molto aderente all’adagio “sbagliare tanto e rapidamente” per poter rivedere e ri-tarare tutto in modo altrettanto rapido, anche se in un paese come il nostro, dove i concetti di sbaglio e fallimento sono un po’ demonizzati, capisco possa essere un processo non molto semplice da attuare, soprattutto se non sei il vertice della piramide.

 

Ma questo è e sarà un altro tema da affrontare.