Non so se l’avete saputo, ma dalle parti di Menlo Park non sta andando proprio benissimo; chiudo immediatamente qui con il sarcasmo, anche perché di mezzo ci sono stati, tra ottobre e dicembre scorso, circa 11.000 licenziamenti, più o meno il 13% di tutta la forza lavoro dell’azienda.

 

 

Perché?

 

Diversi fattori ai quali abbiamo già accennato in un articolo di qualche settimana fa.

 

Cerchiamo di semplificare (senza banalizzare) tutto in una frase: una sovrastima nella crescita del mercato delle Ads (campagne a pagamento) che aveva portato a 27.000 nuove assunzioni nel 2021. Stima decisamente errata, non controbilanciata dagli investimenti aziendali tutti spostati verso l’esperimento Metaverso, con una conseguente presa di posizione degli azionisti che hanno chiesto una sostanziale spending review.

 

 

E perché non c’è stata la crescita prevista sulle ads?

 

Anche qui in sintesi: sempre maggiori limitazioni legate alla privacy e al tracciamento dei dati hanno abbattuto performance, precisione ed efficienza delle campagne. I costi non sono proporzionalmente calati e la qualità del customer care e dell’assistenza tecnica sono diminuiti. In sostanza Facebook e Instagram non sono più in grado di fornire la conversione in risultato che, solo due anni fa, sembrava essere la colonna portante della maggior parte delle attività di digital marketing.

 

 

Conseguenza?

 

Stagnazione delle piattaforme e algoritmi sempre meno gestibili e qualcuno che comincia a parlare chiaramente di nuovi possibili eden al di fuori del parco giochi Meta che, di suo, comincia sempre più ad assomigliare sinistramente alla Dismaland creata da Banksy qualche anno fa. Inoltre, il tanto atteso Metaverso non ha ancora preso una forma così chiara da poter rappresentare, per molte aziende, una reale alternativa.

 

 

Quindi, dove si va?

 

Innanzitutto, non si fugge, ma si esplorano alternative. Lasciare di punto in bianco la presenza sulla piattaforma non è esattamente la mossa migliore che si possa fare; come sempre tutto va strategicamente studiato e pianificato in relazione agli obiettivi. In tutto questa confusione c’è di buono che le aziende dovranno necessariamente ragionare molto di più su loro stesse e la loro audience, prima ancora che dai dati ricavati proprio dalla piattaforma.

 

Ritorna ad essere importante, anche per chi l’ha sempre evitato per questioni di costo, mediamente più alto rispetto ai prodotti Meta, il lavoro svolto sulla SEO e Google, con strumenti sempre più ottimizzati all’interno del pacchetto ADS; dentro Alphabet (la Holding che detiene la proprietà di tutto il mondo Google) chi si è mosso meglio è stato probabilmente Youtube. Mantenendo sempre il suo “passo”, ha studiato, imparato e reagito alla concorrenza di altre piattaforme (Twitch su tutte) integrando man mano funzionalità e migliorando quelle che già aveva, tant’è che si parla ormai di un rientro da parte di moltissimi creator che l’avevano abbandonata in favore della “piattaforma viola”.

 

TikTok continua la sua crescita e allarga progressivamente la propria audience (fasce di età più ampie), ma ha delle dinamiche di produzione e delle frequenze di contenuto che non sono congeniali a molti brand. A questo va aggiunto il discorso tecnico della proprietà dei dati (governo cinese in sostanza) che lascia dubbi grossi sulle possibilità di investimenti consistenti.

 

 

I “verticali” e l’influencer marketing

 

Il lavoro fatto nel creare community da parte di tante realtà, che hanno dialogato bene con i propri utenti/clienti, sta pagando. Si sono creati legami forti attorno ai valori delle aziende e questo permette loro non solo di convertire sulla community stessa, ma anche di poterla utilizzare come megafono verso il mondo esterno, dove ogni partecipante diventa di fatto un brand ambassador.

Sono dei verticali di appassionati ad uno sport, al cibo, ad una certa tipologia di lifestyle, a qualunque altra cosa vogliate, che popolano piattaforme altrettanto verticali; il mondo delle app sportive e di monitoraggio delle performance, Garmin e Strava su tutte, sono il luogo ideale per intercettare quella tipologia di utenti, meno ampia rispetto al bacino di utenza di un social network, ma sicuramente più interessata (e più esigente) ai prodotti che la riguardano in quella specifica attività.

 

In questo contesto l’influencer marketing dovrà essere preso molto più sul serio di quanto non venga fatto oggi; nell’immaginario collettivo è ancora nell’aria la narrazione di “ragazzi sfaccendati che fanno video” quando la realtà è che conoscono il loro pubblico molto meglio della maggior parte delle aziende.

Hanno capacità creative e di produzioni rapide, perfettamente legate al loro target che, di rimando, si fida di loro e della loro capacità di valutare un prodotto o un servizio, per questo scelgono di collaborare solo con aziende in linea coni loro valori e legate in qualche modo al loro format.

Inoltre, riescono a creare un maggior aggancio con la realtà, potendo potenzialmente trasferire questa loro capacità comunicativa anche offline.

 

La sostanza è “chi è dentro è dentro (ma cominci ad esplorare il resto), chi è fuori resti fuori”, perché le possibilità ci sono e possono essere, una volta trovata la chiave strategica corretta, anche maggiori rispetto a qualche mese fa.